15 Maggio, 2020 | Di

L’economia dell’esperienza e la probabile accelerazione del “phygital” nel post coronavirus

phygital

Il mantra delle aziende negli anni ‘80/’90 era la qualità (legata al prodotto o servizio che si produceva) e non a caso tutti parlavano di certificazione di qualità. Negli anni 2000 si è iniziato a capire che il mercato e il consumatore davano per scontato che un’azienda (seria) producesse prodotti di qualità. Quale poteva essere la soluzione per andare incontro alle evoluzioni del mercato?

Si iniziò a parlare di esperienza e, fino ai giorni nostri, questa connotazione ha assunto molti significati diversi: dall’esperienza di acquisto, a quella post vendita. Dalla user experience, ovvero la progettazione di un prodotto/servizio partendo dal modo migliore per trasferire “valore esperienziale” all’utente (soprattutto nei prodotti digitali, come siti web e app, ma non solo, come vedremo in seguito) fino a quello che sta prendendo forma sempre più velocemente, e che in molti iniziano a chiamare “economia dell’esperienza”.

In quest’ottica, il cosiddetto PhyGital - l’unione totale dell’esperienza online con quella fisica, che volendo si può vedere anche come l’evoluzione dell’omnicanalità - diventa un abilitatore e acceleratore dell’esperienza stessa e, “grazie” al Covid-19, potrebbe arrivare prima del previsto.

Ma facciamo un passo indietro, entrando un po’ nel pratico.

Cosa significa, dal punto di vista del marketing (ma anche del business in senso lato), ragionare in ottica di “economia dell’esperienza”?

Significa innanzitutto organizzare il proprio processo di vendita (ma anche di delivery), partendo dal processo di acquisto (buyer journey) dei propri clienti. Che tu abbia un negozio fisico, un e-commerce oppure una rete di venditori o distributori, sono i tuoi clienti che decidono “quando, come, dove e perché” e questo ormai avviene da anni, in quanto le informazioni sui prodotti e servizi che vengono offerti si trovano praticamente tutte in rete, presso i  molteplici touch point a disposizione degli utenti-consumatori (siti, blog, social, forum, comparatori, recensioni, video, ecc). E sono proprio le informazioni a fare completamente la differenza in questo contesto. Per questo, l’approccio consigliato è il cosiddetto “Data Driven” (per un approfondimento vedi questo articolo).

Le informazioni, provenienti dell’analisi e dall’interpretazione dei dati, servono a riorganizzare l’intero rapporto col cliente nel suo ciclo di vita, non solo nella buyer journey, ma appunto nell'intera customer journey.

Ed è qui che, da un certo punto di vista, alla parola esperienza si aggiunge economia: utilizzando metodologie che hanno alla base questo approccio (dall’inbound marketing fino al growth hacking) per ogni step di avvicinamento all’acquisto (o riacquisto in caso di clienti fidelizzati) esistono metriche precise che portano ad associare un valore economico preciso, calcolato in relazione al modello di business. Ad esempio, è possibile sapere quanto costa acquisire un cliente, oppure mantenerlo, quanto profitto genera mediamente nel tempo, e quale sia quindi il ROI di ogni investimento in marketing e comunicazione.

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Grazie a questo approccio e agli strumenti che il digital mette a disposizione dei marketer è possibile tracciare in modo sempre più preciso il comportamento dell’utente (nel più rigoroso rispetto della sua privacy e con i limiti imposti dal GDPR) su tutte le proprietà digitali di un’azienda (sito, social, email, blog, piattaforme dedicate, app, ecc) e questo può fornire un vantaggio competitivo rilevante, soprattutto in termini di insight sul business generato e di pianificazione degli investimenti.

Per capire il valore di questo approccio prova a immaginare, ad esempio, la differenza tra una survey nella quale gli utenti rispondono a determinate domande fornendo risposte esplicite, che però potrebbero anche essere fasulle o non accurate, rispetto al valore dato da una misurazione del loro comportamento d’acquisto, ricavando tutte le informazioni implicite (e molto più veritiere) del caso durante il loro percorso di interazione con il nostro sito, blog o altro. È possibile acquisire informazioni circa cosa legga, che video guardi, per quanto tempo, quali siano i post social con cui ha interagito, su quali recensioni si sia soffermato di più e così via. Grazie a questa mappatura e all’utilizzo di sistemi di marketing automation è possibile gestire in modo automatizzato l’esperienza che si vuole proporre al singolo utente in funzione delle sue scelte e, in base a particolari suoi comportamenti che generano cosiddetti trigger (ad esempio se guarda un video per più di 20 secondi), far scattare messaggi o attività di engagement personalizzate in modalità one to one (che in teoria l’utente dovrebbe gradire).

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Tutto ciò però ha un limite. Il limite sta nel mondo fisico, dove molte delle cose descritte sopra non si possono tracciare e quindi l’economia dell’esperienza si “rompe”, almeno in parte. Almeno per ora.

Ed è qui che entrerà sempre di più in gioco il “PhyGital”! Grazie a diversi tipi di esperienze, dai wearable device allo IoT, dalla realtà virtuale a quella aumentata, sarà possibile fornire esperienze sempre più immersive, comodamente da casa, ma anche in uno store digitalizzato. Alla base di questo ci saranno sempre più dati, i famosi big data e, grazie all’utilizzo massivo di intelligenza artificiale, sarà possibile apprendere le informazioni più rilevanti, anche sul comportamento degli utenti negli spazi fisici, e metterle a fattor comune con quelle rilevate negli spazi digitali.

Nessuno ha veramente idea di quanto, in generale, la digital transformation accelererà i suoi effetti nell’attuale processo di cambiamento nel post coronavirus, ma di certo è importante comprendere che i prodotti e i servizi devono essere ripensati in quest’ottica, quella dell’esperienza complessiva dell’utente. Soprattutto le aziende storiche, in settori consolidati, si trovano in questo senso a dover ripensare il loro prodotto aggiungendo una componente esperienziale che lo faccia evolvere in “qualcos’altro”. Pensa ad esempio all’ondata di sensori che sta arrivando velocemente sul mercato e al tipo di possibilità che offrano. Unendo questi sensori in modo intelligente al proprio prodotto se ne ricavano servizi a valore aggiunto che permetteranno di avere un modello di business diverso e aggiuntivo alla sola vendita di prodotto.

Non si tratta solamente di creare dei servizi che ruotino attorno ai prodotti (come ad esempio app, assistenti vocali o piattaforme di vario genere che in qualche modo permettono di interagire con sensori integrati nel prodotto) ma di immaginare nuovi modelli di business basati sui dati che se ne ricavano.

Marc Andreessen, noto Angel Investor della Silicon Valley, circa 10 anni fa pronunciò la celebre frase “Software is eating the world”, ma, in tempi recenti, non a caso, la stessa frase ha preso una connotazione più precisa, diventando “Data is eating the world”! 

Sappiamo quanto sia complesso stare al passo con queste evoluzioni e siamo consapevoli che per la maggior parte dei non addetti ai lavori sia molto complicato coglierne il significato profondo che si cela al loro interno. Ma ormai “innova o muori” non è più soltanto un claim. Tocca agire, e probabilmente farlo partendo dal marketing e dalle vendite può essere più semplice.

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