10 Maggio, 2016 | Di

L’arte di far sì che gli altri desiderino fare ciò che voi siete convinti debba essere fatto

L’arte di far sì che gli altri desiderino fare ciò che voi siete convinti debba essere fatto

Il Project Manager (IT) è una professione per la quale molti specialisti di settore ne hanno ricorrentemente dato una definizione lacunosa. Far quadrare tempi, costi e qualità e il "bla.. bla.. bla.." che ti insegnano a scuola, è senza dubbio un framework empirico basilare all’interno del quale muovere i primi passi, ma senza alcuni fondamentali ingredienti si rischia di aprire il mondo del lavoro ad una serie di “disastri professionali” che non hanno ancora una concezione chiara della realtà e della vita. Ma non solo. L’approssimazione nell’inquadrare questo affascinante ruolo ha fatto sì che all’interno delle organizzazioni si creassero dei meme intorno alla figura del PM che ne hanno spesso sminuito il valore. Vi svelerò che il PM non è colui che passa le giornate ad aprire task, rispondere al telefono o a redigere file excel senza senso; senza una cultura del project management, infatti, non si sarebbero mai realizzate le grandi opere del mondo moderno. 

Dalla Piramide di Cheope al Progetto Manhattan, fino ai giorni nostri, la materia ha subito un’evoluzione continua. Attualmente esistono una miriade di best practices e metodologie che sono preziose armi a disposizione del PM, ma sono anche molto, troppo, variabili sulla base di altrettanti fattori “ambientali” non preventivabili. Da qui, la difficoltà di inquadrare questo ruolo in una definizione. Ma vediamo quali sono questi requisiti “nascosti” ma importanti nella quotidianità del PM.

Parlo di quelle capacità personali e relazionali proprie dell’individuo. Il PM è chiamato a rivestire una funzione (sia verso l’interno che verso l’esterno) di:

• risolutore di problemi

• smistatore di informazioni

• decision maker

• trainer psicologico 

• motivatore

• mediatore linguistico tra il business (cliente) e il reparto tecnico, e viceversa

• ma non solo

Per poter far questo occorrono caratteristiche innate: sensibilità, pazienza, buon senso e soprattutto capacità di comunicare. Per comunicare efficacemente il PM deve tener conto, nei confronti dell’interlocutore, di:

• peculiarità culturali  

• idee contrastanti 

• personalità  

• contesto di manovra

• situazioni non preventivate

• linguaggio appropriato da utilizzare

Tutto questo, identificando i giusti canali di comunicazione e comprendendo quali informazioni le persone possono offrire e desiderano ricevere.  

Diventa basilare, per il nostro bravo PM, la capacità di leadership. Puntando sull’autorevolezza prima che sull’autorità, è importante affrontare i problemi senza approcci punitivi e risolvendoli in team, introducendo ricompense e promuovendo fiducia, incoraggiando le persone, rispettandole e tirando fuori il meglio dalle loro potenzialità. Considerando che il successo di un progetto dipende dall’impegno dei singoli, ed essendo questo impegno alimentato dalla soddisfazione personale, è necessario che il PM comprenda i bisogni delle persone, che possono essere diversi a seconda della psicologia del singolo: flessibilità nel lavoro, impegni lavorativi nuovi e sfidanti, crescita professionale e stipendio sono tutti fattori da considerare a seconda della risorsa sulla quale si sta “lavorando”. Tutto questo rappresenta la normalità, ma ricordiamoci che, per un progetto, il conflitto è fisiologico. Il PM deve essere in grado di gestire le controversie, siano esse interne o verso il cliente, mettendo in campo le soluzioni più costruttive e cercando, per quanto possibile, di far collaborare le parti integrando i loro punti di vista e attivando un dialogo diretto finalizzato a risolvere il problema. A tutti i costi. Sia il conflitto che i momenti positivi sono situazioni utili al PM per una valutazione del team. Questo aspetto è importante per misurare, con la Direzione, un premio piuttosto che un demerito; quest’ultima situazione non è certamente una passeggiata ma avere l’ultima parola e la responsabilità di un progetto neppure. Pertanto sottolineo quanto la collaborazione entusiasta di un team verso l’obiettivo comune vada a beneficio di tutti. 

Tirando le somme, sono convinto che Project Manager si nasca e non si diventi. Abbiamo, infatti, parlato di come il carattere di un individuo possa essere la chiave per portarsi a casa un mestiere; queste cose non si possono studiare sui libri. Guardando alla domanda di lavoro, vediamo quanto oggi sia difficile trovare risorse con tali peculiarità, anche per la quantità di PM “tecnici” (o tecnici che si improvvisano PM) rispetto ai PM “umanisti”: non voglio entrare in un tunnel senza via d’uscita, ma è certamente difficile, non impossibile, che ingegneria e sensibilità vadano d’accordo. 

In conclusione, non è importante che il lavoro del PM venga sempre compreso appieno dal team. Per me sarebbe già un importante traguardo se del PM si ammettesse che “non si sente quando è in campo, ma si sente quando manca”